UN PASSO AVANTI E MOLTI INDIETRO:

A PROPOSITO DEL CONVEGNO NAZIONALE DEL 16 OTTOBRE

CONTRO LA GUERRA IN UCRAINA

UN PASSO AVANTI E MOLTI INDIETRO:

A PROPOSITO DEL CONVEGNO NAZIONALE DEL 16 OTTOBRE

CONTRO LA GUERRA IN UCRAINA

Il convegno di Roma, organizzato da varie realtà tra cui la Tendenza Rivoluzionaria Internazionalista, il FGC, il Fronte Comunista, il Centro Sociale Vittoria, ecc. ha affrontato la questione delle implicazioni politiche e sociali della guerra in Ucraina.

La definizione data della guerra in corso come “guerra interimperialista” è comunque condivisibile e distingue gli organizzatori del convegno dalle varie forme di sciovinismo che fomentano la divisione del proletariato internazionale e che mirano a determinarne l’accodamento agli interessi degli schieramenti imperialisti capeggiati dagli USA e dall’Europa da un lato e dalla Russia. 

Un altro dato è si è richiamato, per quanto in termini astratti, la questione della necessità del partito rivoluzionario del proletariato. Tale questione è comunque emersa anche come espressione dello stesso convegno che ha messo in campo un  certo grado di convergenza ideologica e politica delle organizzazioni promotrici.

Il Convegno è stato oggettivamente, se non anche soggettivamente, un esito, sia dell’operato del “Patto d’azione anticapitalista” per un fronte unico di classe” , sia del suo successivo scioglimento.

Un esito della sua costituzione in quanto di fatto mantiene il nucleo centrale delle forze politiche che, direttamente o indirettamente, erano state protagoniste della formazione di tale patto e delle relative iniziative di mobilitazione. Un esito della sua dissoluzione in quanto il convegno rappresenta un passaggio che vorrebbe proporsi come un salto qualitativo, come una sorta di riconsiderazione, del corso precedente. Se prima si partiva ogni volta dall’economia, ossia dalla questione delle rivendicazioni sociali e dell’organizzazione delle lotte sindacali, adesso il convegno ha cercato di porre la questione della politica.

Dunque da un lato la guerra in Ucraina nella sua costante espansione, anche se per ora relativamente lenta, segno di un evento che, come notato dagli stessi organizzatori, è senza possibilità di ritorno e quindi indice di fatto dell’inizio della III guerra mondiale e, dall’altro lato l’instaurazione del governo Meloni, il cui carattere fascista non è stato preso particolarmente in considerazione dagli organizzatori, ha in qualche modo spinto verso un certo processo di “politicizzazione”. Processo che già la pesantezza della crisi e dell’attacco padronale-governativo, insieme alla crisi sanitaria e pandemica, avevano ampiamente preparato.

Non riteniamo però, per quanto ci riguarda, che il  Convegno abbia realmente proceduto su tale strada e quindi toccato gli attuali nodi di fondo della questione del rapporto tra partito e sindacato o della relazione tra lotta politica e lotta economica. Nemmeno riteniamo che sia stato anche solo sfiorato il problema del tipo di partito comunista che oggi risulta necessario.

Il Convegno in un certo senso ha comunque  raggiunto il suo punto limite oltre il quale non può realmente proseguire. Il progetto delineato, pur a grandissime linee, di “politicizzazione” e di relativa avanzata verso una sorta di partito-sindacato o di sindacato-partito, non ha di per sé alcuna possibilità di tradursi in un’effettiva dinamica espansiva e costituente.

Questo progetto è destinato a decomporsi e, nel caso improbabile in cui riesca a tradursi in un qualche esito organizzativo di tipo “partitico”, tale esito non potrà che essere una rappresentazione tragi-comica del necessario partito comunista del proletariato. Tragica perché ovviamente si tradurrà nell’ennesima dispersione o nell’ennesimo impaludamento riformista di forze soggettive almeno potenzialmente utili. Comica perché tutta la strada imboccata dal convegno non è altro che, astraendo dai suoi contenuti contingenti, l’ennesima ripetizione di un tentativo caratterizzato di fatto dall’egemonia del movimentismo-bordighista.

La sterilità di tali tendenze è conseguenza di un paradigma della rivoluzione proletaria di tipo meccanicista ed economicista che, paradossalmente, si sposa sempre bene, anche se in forme diverse a seconda della diversa declinazione del riferimento al bordighismo, con lo spontaneismo e con l’attribuzione di un sostanziale carattere antagonistico o per lo meno anticapitalista alle lotte sindacali.

Un paradigma che combina la concezione operaista della rivoluzione come espressione della radicalizzazione insurrezionalista delle lotte economiche e sociali con il massimalismo della propaganda astratta e ideologistica dell’internazionalismo, del socialismo e della rivoluzione proletaria (propaganda che il convegno in questione non ha certo tralasciato di proporre nei suoi vari interventi).

È singolare vedere quindi forze come il FGC e, se vogliamo, lo stesso Fronte Comunista che, nel giro di non molti anni, sono passate dalla subordinazione all’egemonia del populismo di sinistra (poi tramutatosi notoriamente in un più organico rosso-brunismo) a quella del paradigma movimentista-bordighista di tipo economicista-massimalista. Si tratta di forze che non hanno avuto il coraggio e l’onesta intellettuale di fare una precisa scelta rispetto alla questione del marxismo-leninismo, se assumerlo effettivamente o metterlo definitivamente da parte anche nella forma.

In realtà la contraddizione tra le diverse provenienze delle forze organizzatrici pare solo apparentemente inconciliabile, se si guarda alla sostanza tale contraddizione più di tanto non sussiste. Sappiamo bene, come per altro rimarcava spesso Gramsci, che spesso dietro forme apparentemente distanti tra loro ci sono contenuti comuni sotto il profilo politico e ideologico e quindi di classe.

Il Convegno infatti è stato convergente sia rispetto al massimalismo relativo alle formule di rito dell’internazionalismo rivoluzionario, sia rispetto a un approdo movimentista, economicista e riformista.

Si parla della guerra mondiale come di un processo ormai in atto, ma ci si dimentica che poi il vero problema risiede tutto nella ripresa e nell’attualizzazione della teoria leninista della trasformazione della crisi dell’imperialismo in guerra civile. Si parla della repressione e del fatto che andrà ad accentuarsi nei prossimi mesi e ci si dimentica persino di designare il governo Meloni come governo fascista. Quindi si tralascia la stessa lezione storica relativa al fatto che, se la guerra interimperialista porta al fascismo, a sua volta il fascismo porta alla guerra imperialista. Si dimentica la lezione leninista della “politica come espressione concentrata dell’economia”.

Quest’inaudita e per molti versi ignobile sottovalutazione della crisi generale dell’imperialismo, dei processi di corporativizzazione dello Stato, della fascistizzazione in atto a tutti i livelli della società è tutt’altro che casuale. È espressione organica e necessaria delle posizioni del bordighismo e, se vogliamo, anche di quelle, da questo punto di vista non molto diverse, dell’operaismo e del  trotskijsmo. Ovviamente parlare di lotta politica, di rivoluzione proletaria, di forme di avvicinamento della rivoluzione, di fronte popolare e di trasformazione rivoluzionaria della crisi in atto, sulla base di un simile impianto o semplicemente risulta improponibile oppure è semplicemente farsesco.

Il problema di fondo del Convegno tenutosi a Roma è che sotto il profilo teorico-politico è tutto spostato verso il cosiddetto “antistalinismo di sinistra”, ossia verso un’interpretazione ingiuriosa e deforme del Pensiero di Gramsci, della III Internazionale Comunista, del suo glorioso Settimo Congresso, dell’epopea della costruzione del socialismo in URSS e della lotta vincente contro il nazifascismo, della guerra partigiana antifascista come rivoluzione democratico-popolare sulla via del socialismo. In particolare è orientato di fatto, verso il rigetto del maoismo come terza tappa dello sviluppo del marxismo, cosa che non può che condurre alla negazione dello stesso marxismo.

C’è, insieme a tutto questo, un meschino politicantismo da vecchi quadri navigati degli anni Settanta. Quasi una forma generalmente inconscia di post-modernismo, che porta sempre a cercare di costruire egemonie in funzione di presunti fronti politici e di classe o di ipotetiche prospettive di partito, squalificando a priori qualsiasi esplicita fondazione di una prospettiva progettuale sulla base dell’identificazione di una precisa tendenza ideologica a cui fare riferimento e sulla base della quale andare effettivamente a convergere. Così la stessa egemonia, di fatto, del movimentismo-bordighista nel Convegno di Roma sulla guerra in Ucraina non è mai stata esplicitata. In questo il convegno ha riproposto per l’ennesima volta la logica eclettica ed egemonista degli inter-gruppi. Ovviamente a tale proposito le cose funzionano più o meno in questo modo: ognuno pensa di essere il più furbo e quindi ritiene che sarà in grado di conquistare in questo modo, prima o poi, l’egemonia sugli altri soggetti e sulle lotte dei lavoratori.

Bisognerebbe anche sottolineare a tale proposito, al di là di tutto quanto già detto, la differenza tra la promozione e l’organizzazione di lotte a cui gli organizzatori si sono spesso richiamati, e l’essere simpatizzanti delle lotte o portatori di linee sindacali erronee e prive di prospettive. Promuovere lotte sindacali di classi e effettivi movimenti, anche solo rivendicativi, di mass, richiedono impostazioni e linee corrette oltre che l’esistenza effettiva di un reale partito comunista.

C’è infatti spesso una singolare, del tutto improponibile, identificazione tra la promozione e l’organizzazione delle lotte sindacali e rivendicative, sotto la direzione di un reale partito comunista, sulla base di un’adeguata ideologia e linea, alla luce di un preciso bilancio dell’esperienza della lotta di classe, e la promozione delle attuali iniziative del sindacalismo alternativo e quindi la partecipazione su base identitaria a una manifestazione o a uno dei tanti scioperi generali fantasma.

In sintesi i limiti di fondo delle concezioni del Convengo rimandano, parafrasando Gramsci, ad un grossolano “ottimismo della ragione” ed ad un sostanziale “pessimismo della volontà” che cerca di risollevare il destino di organizzazioni finite in un vicolo cieco riproponendo la ristretta logica del movimentismo contro quella relativa ad un’effettiva ed adeguata interpretazione e pratica politica dei fini.

L’opposto, dunque, di quello che oggi è effettivamente necessario.

Per Nuova Egemonia si tratta di lavorare per invertire il consueto rapporto di prevalenza e dominanza dell’iniziativa economica. Rapporto istituito generalmente sulla  base di un materialismo rozzo ed economicista. E’ necessario rimettere l’ideologia e la politica al posto di comando. Solo così si essere effettivamente marxisti o marxisti-leninisti, perché solo così e quindi si può condurre efficacemente la lotta ideologica e l’iniziativa politica per la costruzione di un reale partito comunista sulla base del marxismo-leninismo-maoismo.

NUOVA EGEMONIA    

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