Una valutazione dello “sciopero generale” del 2 dicembre indetto dal sindacalismo alternativo

Il 2 dicembre si è svolto lo “sciopero generale unitario” del sindacalismo alternativo[1]. Dal punto di vista della partecipazione si può parlare di un mezzo fallimento. A Milano erano presenti poco più di 400 persone compresi i militanti di tutta una serie di gruppi politici. Anche dal punto di vista del carattere “unitario” le cose sono andate tutt’altro che bene. Il Si Cobas non era presente a Milano e a Roma il giorno dopo, alla manifestazione “unitaria” ci sono stati due spezzoni separati[2]. Tutto questo è un’ulteriore prova della crisi in atto del sindacalismo alternativo.  

Questa crisi nasce dal fatto che gli spazi dell’iniziativa sindacale alternativa cosiddetta di base, autorganizzata o di classe, si stanno progressivamente riducendo a causa dell’attacco economico, politico e ideologico nei confronti del proletariato e delle masse popolari. Di fronte a questo attacco, le organizzazioni del sindacalismo alternativo sono destinate, in quanto tali, o alla dissoluzione o a tradursi nella formazione di organizzazioni sindacali ulteriormente integrate nei processi di corporativizzazione reazionaria dello Stato. Il bilancio di questo tipo di esperienze, se sintetizzato adeguatamente sul piano teorico e politico, può comunque fornire importanti lezioni per un processo di costituzione di un effettivo partito rivoluzionario.

Dal bilancio dell’esperienza, riteniamo che un’organizzazione sindacale alternativa non abbia reali prospettive se non è diretta dai quadri di un partito presente su scala nazionale caratterizzato dal riferimento al marxismo-leninismo-maoismo. Oggi riteniamo prioritario avere almeno un embrione di partito anche se si vuol fare semplicemente un lavoro sindacale di classe. In altri termini, bisogna avere quadri capaci di legarsi alle masse, che abbiano effettivamente assimilato il marxismo-leninismo-maoismo, che sappiano sufficientemente padroneggiare il terreno, oggi particolarmente complesso, relativo alla battaglia sindacale di classe e che quindi non si limitino a pretendere di rappresentare in modo formale e burocratico il proletariato.

Riteniamo sostanzialmente errata la tesi, oggi di moda, che sostiene che l’accumulazione delle lotte, l’unificazione dei movimenti esistenti, la radicalizzazione del conflitto sindacale portino, come linea di sviluppo principale, all’avvio di un processo rivoluzionario.

Non si possono confondere quindi gli organismi economico-sindacali, gli organismi di movimento, quelli di massa con presunti processi di sviluppo del controllo popolare e di costruzione di un governo e di un potere alternativo. Così come non ci si può richiamare ad un’esperienza come quella dei Consigli di Fabbrica per riproporre le teorie sul potere operaio e sulla costruzione di organismi di carattere sovietico. In questo tipo di teorie non si considera l’aspetto principale, quello relativo all’iniziativa politica, che può per definizione provenire solo da un adeguato partito comunista per la costruzione di un movimento proletario e popolare e per un processo costituente di un Nuovo Stato effettivamente democratico e antifascista e instradato sulla via del socialismo. Oggi la guerra interimperialista in espansione, la fascistizzazione dell’apparato Statale, la corporativizzazione delle istituzioni e della società civile, lo stesso governo Meloni in mano ai partiti fascisti, impongono ai proletari, ai giovani antifascisti, ai sinceri democratici e agli effettivi comunisti la ripresa del Cammino di Gramsci e la riapertura del processo della rivoluzione democratico-popolare interrotto dopo la fine della II guerra mondiale ad opera del revisionismo togliattiano. Un processo che gli anni Sessanta e Settanta hanno oggettivamente tentato di riaprire senza possibilità di successo a causa delle posizioni teoriche e delle linee politiche egemoni sostanzialmente opportuniste e rivoluzionarie piccolo-borghesi.

Oggi occorre quindi sviluppare una battaglia politica e culturale di ampio respiro e di lunga durata per la costruzione di un Fronte Popolare per una Nuova Resistenza. A questa battaglia, che solo un partito di classe diffuso capillarmente può promuovere e guidare, un’iniziativa sindacale di classe di tipo difensivo, visto anche che il terreno sindacale è per definizione ‘difensivo’, è certo indispensabile.

NUOVA EGEMONIA


[1] Tranne due organizzazioni sindacali lo SLAI.PROL.COBAS e il SOL COBAS.

[2] L’USB a Roma voleva la testa del corteo ma il SI.COBAS si era opposto a questa richiesta. Da qui gli spezzoni separati.

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