LA QUESTIONE COSPITO, L’ECLISSI DELLA DEMOCRAZIA BORGHESE E LA LOTTA PER LA DIFESA DELLE LIBERTÀ DEMOCRATICHE

Lo sciopero della fame dell’anarchico Cospito sta suscitando un movimento di solidarietà e di opposizione a un articolo della legislazione speciale (il 41 bis). Un articolo che assume oggettivamente il ruolo di sancire una forma di tortura permanente. Previsto formalmente per la lotta contro la mafia e applicato invece essenzialmente contro detenuti che, per motivi ideologici e politici, risultano invisi agli apparati centrali dello Stato e ai vari governi che si sono succeduti sino ad oggi.

1. Il 41 Bis e la pretesa lotta alla mafia

Un dato di partenza dovrebbe essere ovvio, quello per cui lo Stato italiano né può farsi interprete di un’effettiva politica di repressione nei confronti della mafia, né di conseguenza di una qualche legislazione antimafia di effettiva efficacia.

La mafia e la camorra sono sempre state espressione nel nostro paese di un sistema di potere strettamente integrato nello Stato, derivante dalle specificità assunte dallo sviluppo economico e politico-istituzionale nel nostro paese. Che l’Italia sia un imperialismo marginale, fortemente condizionato sul piano economico dalle principali potenze imperialiste occidentali (USA e Germania in primo luogo) e che, rispetto a settori decisi e portanti dello Stato (politica estera, ministero degli interni), risulti semi-dipendente dalle potenze imperialiste estere e dalla Nato, è un dato ovvio sul piano teorico ed empirico. Così è altrettanto ovvio che il tutto sia da rimandare al ruolo abnorme delle rendite che sempre ha caratterizzato il nostro paese e, in particolare, il Meridione e la Sicilia (e in parte, ma forse diversamente, anche la Sardegna). Il nostro Stato, dall’Unità ad oggi, si è retto sull’asse tra proprietà capitalistica (prima terriera poi via via industriale e finanziaria) al Nord e rendite (agrarie o collegate ai processi d’inurbamento, al controllo delle opere pubbliche, alla cementificazione delle zone costiere, ecc.) nel Centro-Sud del paese. La mafia e la camorra sono sempre state espressioni e articolazioni repressive della particolare forma assunta dallo Stato principalmente nel Meridione e in Sicilia, ma con connessioni decisive nel Centro Italia, ossia Roma e Stato del Vaticano. È tipico del sistema economico-sociale delle rendite, che si traduce in una determinata sovrastruttura politico-statale, il dato per cui la mafia e la camorra sono costrette a svolgere il proprio ruolo di saccheggio, controllo e repressione in forme caratterizzate da una forte competizione interna che, di volta in volta, sancisce vinti e vincitori e che consegna allo Stato italiano, questa volta sul piano della vita politica nazionale, i perdenti. Un’operazione che ovviamente viene sempre spacciata, a fini egemonici, come “lotta contro la mafia” e che appunto, tra l’altro, ha dato occasione e pretesto per l’approvazione sul piano legislativo dell’obbrobrio del 41 bis.

2. l’incompatibilità tra 41 bis e ordinamento democratico-liberale borghese

Risulta evidente che la legislazione relativa al 41 bis non viene certo applicata ai boss mafiosi. Viene invece applicata senza particolari patemi d’animo e senza che, sul piano generale o su quello relativo ai singoli casi, sorgano contraddizioni politiche interne alle istituzioni e ai partiti di potere, ad oppositori e rivoluzionari.

Non è certo in questo articolo che si può entrare nel merito delle complesse questioni ideologiche e politiche connesse al problema di un’adeguata interpretazione del concetto di “prigioniero politico” che, pur risultando di particolare rilevanza nei decenni successivi agli anni Settanta, mantengono ancora oggi una loro attualità e un loro significato politico.

Quello che va invece va sottolineato è il carattere politico del 41 bis e il fatto che esso sia stato imbastito con lo scopo di legalizzare una forma di tortura, al fine di colpire una particolare categoria di detenuti e di intimidire, su un piano generale, i gruppi e i movimenti di opposizione.

Il 41 bis testimonia inoltre, come da varie parti ben evidenziato rispetto allo stesso caso Cospito, un’assoluta  sproporzione tra i reati attribuiti e la pena oggetto della sanzione. Questa logica non ha ovviamente nulla a che fare con l’ordinamento democratico borghese, che prevede appunto che la dittatura della borghesia venga esercitata nell’ambito di un ordinamento politico e di un sistema giudiziario che, per definizione, deve commisurare la pena al reato e che non può discriminare in base a motivi o valutazioni differenti.

Eppure perlomeno tutta la legislazione speciale degli anni Settanta successivamente appesantita dai DASPO, dall’uso discriminatorio dei fogli di via, dalla contestazione dell’associazione a delinquere contro le lotte sociali, dai decreti sicurezza, dal tentativo di  gestire la conflittualità sui posti di lavoro con il codice civile e penale mirando all’abolizione delle libertà sindacali, sino ad arrivare alla legislazione anti-rave, si basa proprio sulla rottura di ogni corrispondenza tra reato e pena e sull’immissione massiccia di elementi di giudizio derivanti da valutazioni politiche e ideologiche del tutto estranee alle questioni relative all’individuazione e alla sanzione di un determinato reato.

3. Un processo di fascistizzazione che ha superato il limite di guardia

La legislazione repressiva accumulatasi nel nostro paese non trova riscontro in quella dei principali paesi europei e non risulta nemmeno paragonabile, per estensione dei reati e pesantezza delle pene, a quella che, per es., vigeva nella prima fase del regime fascista mussoliniano.

Di fatto tale legislazione è solo un tassello di un processo più complessivo, dove diritti e libertà sindacali sono stati colpiti e  drasticamente ridimensionati, senza contare che l’intero ordinamento che si vuole continuare a presentare come democratico-costituzionale si è irreversibilmente trasformato in un sistema corporativo, tecnocratico e sempre più apertamente autoritario. Considerando l’insieme si può dunque legittimamente parlare di un processo di fascistizzazione ormai avanzato che ha superato il limite di guardia con l’affermazione del governo Meloni.

4. La necessità di un movimento democratico e antifascista per la difesa delle libertà democratiche

Il movimento di solidarietà con l’anarchico Cospito è, allo stato attuale, un movimento che si può definire d’opinione. Non si tratta tanto del problema che tale movimento, allo stato attuale, non coinvolge settori sociali proletari e popolari. Si tratta dell’impostazione ristretta di una battaglia che oggi deve porre al centro la difesa delle libertà democratiche contro la fascistizzazione dello Stato e contro un governo gestito dalle forze fasciste. Difesa delle libertà democratiche, opposizione al fascismo e alla guerra, resistenza sul piano economico-sindacale e sociale agli attacchi contro le condizioni di vita e di lavoro delle masse proletarie e popolari sono termini e fronti diversi di un’unica battaglia generale.  Di questa battaglia, la lotta per l’abolizione del 41 bis può e deve essere parte integrante, ma è evidente  che solo questa battaglia può costruire le condizioni perché si vada oltre il movimento d’opinione, in direzione cioè di un’effettiva lotta di classe contro il fascismo e la guerra.

5. le posizioni politiche da combattere all’interno dei comunisti e dei movimenti di opposizione

La prima battaglia da sviluppare è quella contro chi scinde la questione della lotta contro il 41 bis e, più in generale, la lotta contro la repressione da quella della lotta contro la fascistizzazione dello Stato e per la difesa delle libertà democratiche.

È necessario spiegare ai settori avanzati del proletariato e delle masse popolari che oggi il problema centrale nel nostro paese è il fascismo e che è assolutamente nel loro interesse scendere in campo su questa questione. In questo modo si può anche spiegare perché è nel loro interesse lottare per l’abolizione del 41 bis. In altri termini bisogna rovesciare la prospettiva dell’attuale movimento di solidarietà con l’anarchico Cospito. Porre in primo piano l’urgenza di una battaglia generale per supportare anche, come aspetto particolare, la lotta contro il 41 bis.

È chiaro che questo richiede però un modo diverso di affrontare la stessa questione Cospito. Soprattutto richiede l’apertura di un fronte di critica e di opposizione a tutte le associazioni, i gruppi e i partiti della sinistra radicale e dell’estrema sinistra, e di opposizione a tutti i sindacati alternativi e i movimenti che sostengono che oggi non esiste il problema del fascismo e che quindi negano la fascistizzazione avanzata dello Stato, negano il carattere fascista del governo Meloni, non mettono al centro la battaglia per la difesa delle libertà democratiche e non lavorano nella prospettiva di una nuova resistenza popolare, una rivoluzione democratico-popolare antifascista sulla via del socialismo.

Il movimento comunista e di opposizione del nostro paese risente dell’influenza delle posizioni revisioniste, riformiste, sindacaliste, operaiste, trotskijste e bordighiste. Queste posizioni sono egemoni anche nel sindacalismo alternativo, nei movimenti di opposizione e in gruppi come i Carc-nPCI da un lato e Proletari Comunisti-PCm dall’altro, che si presentano come “marxisti-leninisti-maoisti” e che o negano la questione della lotta contro il fascismo o propongono teorie conciliatorie e opportuniste come quella del “fascismo moderno”, che ha lo scopo di occultare la progressiva fascistizzazione dello Stato.

Senza unire i comunisti sulla base della prospettiva di una rivoluzione democratico-popolare antifascista e quindi senza sconfiggere le posizioni opportuniste di destra e di “sinistra”, non è nemmeno possibile aprire nel nostro paese una vera battaglia per la difesa delle libertà democratiche.

NUOVA EGEMONIA

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