Elementi di semi-feudalesimo nei Caraibi colombiani

Presentazione a cura di Nuova Egemonia. Il seguente articolo, relativo ad una traduzione non ufficiale dal sito colombiano Nueva Democracia. Tratta della questione del semi-feudalesimo  in Colombia. Attiene all’applicazione della teoria maoista del capitalismo burocratico e della Rivoluzione di Nuova Democrazia. L’articolo evidenzia non solo la situazione dei contadini, ma anche quella di altri strati sociali piccolo-borghesi sfruttati ed oppressi. Strati direttamente assimilabili ai contadini o provenienti dal disfacimento dei rapporti agrari determinato dalle attuali forme di sviluppo del semi-feudalesimo. L’articolo è quindi un altro contributo del Sito Nueva Democracia  che si aggiunge agli articoli sul tema del Sito brasiliano A Nova Democracia, del Sito internazionale The Red Herald e di vari altri siti d’ispirazione maoista. Si tratta nell’insieme di un vasto materiale di elaborazione teorica e di ricerca e documentazione empirica che contraddice puntualmente alle tesi trotskijste che sul tema si contrappongono al maoismo in nome della teoria delle concezioni del sottosviluppo capitalistico e del capitalismo dipendente. Per i maoisti italiani la questione è particolarmente rilevante considerata la stretta somiglianza tra vari paesi a capitalismo burocratico dell’America Latina e la situazione economico-sociale e politica della Sardegna ed in genere del Meridione. La questione risulta concretamente di particolare attualità considerando il viscerale rigetto della fondamentale teoria maoista del capitalismo burocratico da parte di gruppi opportunisti come i CARC-nPCI, ANTITESI e Proletari Comunisti-PCm Italia.

NUOVA EGEMONIA

Elementi di semi-feudalesimo nei Caraibi colombiani

In Colombia si mantengono relazioni semifeudali di sfruttamento, basate su un capitalismo mosso e asservito all’imperialismo, principalmente quello yankee, che non ha risolto i compiti democratici propri delle rivoluzioni borghesi, il principale dei quali è la democratizzazione della terra. Al contrario, come spiegano i documenti dell’Internazionale Comunista guidata da Lenin, tale struttura è stata mantenuta come fondamento del suo dominio:«Il capitalismo è sorto e si è sviluppato su una base feudale, assumendo forme incomplete, transitorie e spurie, che favoriscono in particolare il capitale commerciale e usurario (…) In questo modo, la democrazia borghese percorre una via distorta e complessa per differenziarsi dagli elementi feudal-burocratici e feudal-agrari (…) l’imperialismo straniero continua a trasformare, in tutti i paesi arretrati, lo strato feudale superiore (e in parte semi-feudale, semi-borghese) della società nativa in strumenti del proprio dominio. (…) L’imperialismo, che ha un interesse vitale a ottenere il massimo dei profitti con il minimo dei costi, mantiene, fino all’ultimo istante nei paesi arretrati, le forme feudali e usurarie di sfruttamento del lavoro.» (IV Congresso del Comintern, 1922)

José Carlos Mariátegui, grande pensatore e rivoluzionario marxista del Perù, caratterizza il Perù (un paese che condivide somiglianze nel processo storico con la Colombia) come una società semi-feudale e indica che latifondo, servitù e gamonalismo sono tre espressioni di questa condizione.

Il latifondo si riferisce alla concentrazione di grandi quantità di terra nelle mani di pochi, con vaste proprietà detenute dai proprietari terrieri e alla natura feudale di tali grandi proprietà. Secondo Mariátegui, questa concentrazione di terra costituisce la base su cui si sviluppano le relazioni di servitù e gamonalismo.

La servitù indica la persistenza sistematica di rapporti di produzione pre-capitalistici. I contadini non possiedono la terra, né il frutto del lavoro che producono; al contrario, devono cedere la maggior parte di esso ai proprietari terrieri in cambio del diritto di lavorare o persino di nutrirsi. In altre parole, i contadini sono servi che prestano un servizio senza ricevere un salario adeguato o una compensazione equa per il loro lavoro.

Il gamonalismo è l’espressione politica del latifondo. È il potere assoluto che i proprietari terrieri esercitano sulle vite economiche, sociali e politiche dei contadini, reso possibile unicamente dalla concentrazione della terra.

Il marxismo ha spiegato che i rapporti di produzione sono determinati da chi possiede i mezzi di produzione. Nelle aree rurali, la maggior parte della terra appartiene ai grandi proprietari. Di conseguenza, finché persistono i latifondi feudali, anche la servitù e il gamonalismo continuano a esistere, seppur sotto varie modalità e con nomi differenti. Esaminiamo alcune forme in cui il semi-feudalesimo si manifesta in Colombia.

Innanzitutto, in termini di concentrazione della terra, la Colombia è il paese con la maggiore disuguaglianza nella proprietà terriera in America Latina: l’81% della terra è nelle mani dell’1% dei proprietari terrieri, mentre il 19% della terra appartiene al restante 99%.

Inoltre, riguardo alle grandi proprietà feudali, secondo i dati dell’ultimo Censimento Agricolo Nazionale (2014), dei 43 milioni di ettari adatti all’agricoltura, l’80% è occupato da pascoli e terre incolte, mentre solo il 19,7% è destinato all’uso agricolo e lo 0,3% è utilizzato per infrastrutture produttive. Ciò significa, in pratica, che in Colombia ad ogni capo bovino dei grandi proprietari corrisponde un ettaro e mezzo di terra. In un paese a sviluppo capitalistico classico, come i Paesi Bassi, fino a 140 bovini sono allevati per ettaro. La terra destinata all’allevamento in Colombia è dunque 140 volte meno produttiva rispetto ai Paesi Bassi. Nel frattempo, la forza lavoro contadina affronta un limite materiale nei suoi sforzi per sviluppare le aree rurali e migliorare le proprie condizioni di vita: manca loro la terra o ne hanno pochissima.

Le condizioni di vita delle masse contadine sono estremamente precarie. Nelle campagne colombiane lavorano più di 3 milioni di persone. Secondo i dati del DANE (Ufficio Nazionale di Statistica), la disoccupazione rurale a gennaio 2025 era dell’8,6%. A prima vista, si potrebbe pensare che ci sia lavoro nelle campagne, ma la realtà è più complessa. Il tasso di lavoro informale nelle aree rurali è dell’84,1%. Questo lavoro informale non riguarda, nella maggior parte dei casi, il “contadino-imprenditore agricolo di successo”, ma il contadino che deve sopravvivere con appena 300.000 COP (74 USD) al mese. Si tratta di lavoro informale a basso salario, ad elevato sfruttamento ed a maggiore profitto per i grandi proprietari terrieri e i ricchi.

I settori “più industrializzati” della produzione agricola sono le agroindustrie della banana, della canna da zucchero e della palma, che rappresentano solo il 6,9% del totale degli ettari con potenziale agricolo in Colombia. E sebbene siano i settori più industrializzati, portano i segni del feudalesimo: “in agricoltura, l’istituzione dei salari e l’adozione delle macchine non cancellano la natura feudale della grande proprietà terriera. Semplicemente affinano il sistema di sfruttamento della terra e delle masse contadine” (Mariátegui).

In Colombia ci sono vari esempi di tale sfruttamento perfezionato: per esempio, nell’agroindustria della palma, non tutti i lavoratori sono assunti con contratti formali; vengono pagati in base a ciò che producono durante la giornata lavorativa, ma con un limite sulla quantità prodotta. In questo modo, il reddito del lavoratore è controllato per garantire la permanenza della forza lavoro: se il lavoratore guadagna “troppo”, l’azienda corre il rischio che il contadino cerchi di lavorare autonomamente. Limitando quindi la quantità di lavoro e di conseguenza lo stipendio, le aziende vincolano di fatto i lavoratori agricoli.

Sono inoltre segnalati, da associazioni di contadini e di familiari dei lavoratori vittime dei sopprusi,  legami tra le grandi imprese agricole e l’espropriazione di terre contadine, attuata tramite gruppi paramilitari che ricorrevano a minacce, omicidi, massacri e altri crimini contro contadini e sindacalisti per rubare le loro terre o sopprimere la lotta per migliori condizioni di lavoro nelle campagne. Un esempio è la multinazionale statunitense Chiquita Brands, parte dell’industria bananiera, condannata alcuni anni fa per aver finanziato il paramilitarismo in Colombia. Un altro esempio è l’azienda Urapalma, coinvolta nell’agroindustria della palma, i cui diversi soci e membri del consiglio di amministrazione sono stati condannati per “reati di cospirazione nel commettere crimini aggravati, sfollamento forzato e invasione di terre, nonché per legami accertati con gruppi paramilitari” (Contraloría General de la República). Le poche aziende condannate per legami con il paramilitarismo sono solo la punta dell’iceberg; molte altre sono riuscite a eludere la giustizia.

Le aziende imperialiste e la grande borghesia, entrambe grandi proprietarie terriere, sia perché detengono titoli di grandi proprietà sia perché le sfruttano e ne traggono profitto, mantengono i latifondi, colludono con il potere feudale fondiario e lo proteggono, soggiogando i loro lavoratori ai rapporti di produzione semi-feudali.

Nelle campagne colombiane, coloro che possiedono vaste aree di terra e capitali significativi non hanno sviluppato un’agroindustria che produca per il paese e sfruttano  migliaia di contadini poveri che hanno solo le proprie mani per lavorare e che desiderano avere terra da coltivare e su cui vivere con dignità. L’agroindustria occupa una porzione minima della popolazione rurale, e la stragrande maggioranza dei lavoratori agricoli sono contadini poveri, cioè senza terra o con poca terra, soggetti a lavoro informale e servile a causa della struttura della proprietà terriera. Le campagne colombiane sono altamente improduttive, dove la terra continua a essere, come in epoca feudale, uno strumento per mantenere il potere locale, un feudo economico e politico. La terra non è utilizzata per la produzione, ma principalmente per ricavarne rendite in vari modi.

I Caraibi colombiani non sono immuni dalla realtà nazionale appena descritta. Nei dipartimenti di Magdalena, Bolívar, Sucre e Cesar, la stragrande maggioranza dei contadini non possiede terra, sia perché gli è stata sottratta da forze armate statali e paramilitari, sia perché non ne hanno mai posseduta. Questi contadini sono soggetti a varie forme di sfruttamento estremo, tutte riproducenti rapporti di produzione semi-feudali. Presenteremo alcuni esempi che riteniamo più illustrativi di questo fenomeno.

Affitto della terra

Nei Caraibi e in diverse regioni del territorio nazionale, comprese alcune zone di Antioquia, è pratica diffusa e sistematica consentire al contadino di lavorare e abitare un pezzo di terra in cambio della cessione di parte del proprio lavoro, spesso quasi per intero, al proprietario terriero. Questa pratica ha varie modalità, ma generalmente consiste nel fatto che il proprietario consegna un pezzo di terra ai contadini per un periodo determinato affinché lo coltivino. Nella maggior parte dei casi, si tratta di un terreno che può essere utilizzato solo per periodi molto brevi, limitando così il contadino a piantare solo colture temporanee.

Ciò che il proprietario richiede è che la terra restituita sia “civilizzata”, cioè liberata da sterpaglie, oppure riconsegnata piantata a prato per il bestiame. Talvolta, esige anche una parte del raccolto e, in altre occasioni, un pagamento in denaro. Tutti i costi associati alla coltivazione e tutti i rischi connessi ricadono interamente sul contadino. Il proprietario, da parte sua, trae beneficio indipendentemente dal fatto che il raccolto del contadino vada bene o fallisca.

Quanto appena descritto rappresenta, di per sé, una pratica scioccante e regressiva che incarna lavoro non retribuito e servitù, riflettendo rapporti di produzione semi-feudali. Inoltre, spesso accade che il proprietario violi i termini concordati—solitamente stabiliti verbalmente—e sfratti i contadini dalla terra prima che possano raccogliere i frutti del loro lavoro. I contadini raccontano che un metodo comune di sfratto impiegato dal proprietario consiste nel far pascolare il bestiame sulle colture appena germogliate, distruggendole. In alternativa, il proprietario impone condizioni nuove e più dure al contadino, come la richiesta di una parte del raccolto o di denaro. In questo modo, facendo affidamento sul lavoro non retribuito dei contadini e affittando qua e là la terra, il proprietario mantiene la propria grande proprietà.

Carbone
Nella parte settentrionale del dipartimento di Cesar, un’altra forma di servitù è legata alla produzione di carbone. Un contadino racconta:

«Non ho mai avuto terra. Ho iniziato a lavorare duramente nei campi a 16 anni, e ora ne ho 64 e ancora non ho un posto dove piantare anche solo una pianta di manioca. Lavoro dove posso trovare lavoro giornaliero—non è un salario fisso, solo due o tre giorni alla volta. In questo momento sono passati tre mesi senza lavoro, non esce nulla. Quindi ora produco solo carbone dalla legna—è il mio mestiere perché non c’è altra fonte di lavoro. Raccogliamo la legna, la ammucchiamo, la copriamo con terra e la bruciamo; è questo che ci sta fornendo il cibo adesso… I ricchi ripuliscono i pascoli (1) per impedire che le erbacce disturbino il loro bestiame e ci permettono di raccogliere quella legna. Il proprietario trae beneficio perché stiamo pulendo la terra per lui, e noi beneficiamo perché prendiamo quello che possiamo, guadagnando appena abbastanza per mettere qualcosa da mangiare sulla tavola. Non ci pagano nulla per aver ripulito la terra; facciamo il lavoro gratis. Siamo soddisfatti del proprietario—gli siamo grati perché mangiamo grazie a lui. Non ci rendiamo nemmeno conto del lavoro che stiamo facendo per lui. Ci paga? Non ci interessa, perché produciamo carbone—il nostro pagamento viene dalla vendita del po’ di carbone che riusciamo a produrre.

Per produrre il carbone, si lavora giorno e notte. Non si dorme, non ci si riposa, bisogna sorvegliare il carbone affinché non diventi cenere. Ripuliamo la terra, abbattiamo gli alberi con un’accetta, raccogliamo, ammucchiamo, copriamo con terra, poi accendiamo il fuoco. Dopo 3 o 4 giorni possiamo iniziare la raccolta, ma l’intero processo dura circa 15 giorni, e ci comprano il fascio per 10 o 8 mila pesos colombiani (2,5 o 2 USD), a seconda del prezzo del fascio, e con quello si compra una libbra di riso. Ho 7 figli, tutti di 8 anni o più—ognuno di loro va ad aiutare a fare il carbone.» (Intervista propria).

A causa della mancanza di terra, i contadini della zona sono costretti a fornire lavoro non retribuito—un servizio al proprietario senza ricevere alcun compenso. In questo modo, i proprietari traggono profitto dalla povertà dei contadini e usano il loro controllo sulla terra per sottoporre i contadini a rapporti di servitù.

Vendere il proprio salario

La persistenza di rapporti semi-feudali non è solo una questione rurale. Nel nostro paese, il sottosviluppo è diffuso, e esiste un vasto strato sociale che non può essere assorbito come forza lavoro perché non vi è sviluppo industriale capace di impiegare questa manodopera. La situazione è tale che questo strato sociale è costretto a cedere il proprio lavoro per briciole, solo per sopravvivere. Abbiamo visto alcuni esempi di ciò che accade nelle campagne, ma ora presenteremo un esempio che si verifica in quelli che i nostri censimenti nazionali chiamano “centri abitati urbani”.

In un comune di Bolívar, addetti alle pulizie, guardie di sicurezza e segretarie che lavorano per le istituzioni governative locali sono assunti su base mensile. Questi lavoratori riferiscono: «Ogni volta che il contratto viene rinnovato—dato che si tratta di un accordo di fornitura di servizi (2)—ci rubano un mese o talvolta di più. Poiché siamo nel bisogno e trovare lavoro è così difficile, vogliamo mantenere il nostro posto, quindi continuiamo a lavorare anche se il contratto non è stato rinnovato. E quando finalmente lo rinnovano, ne posticipano la data, quindi le date non corrispondono a quando abbiamo effettivamente lavorato.»

Questo è un meccanismo sofisticato, perfezionato in decenni di pratica. I funzionari locali non rinnovano i contratti in tempo, così il lavoratore continua a lavorare per uno o due mesi senza essere pagato. Il periodo in cui il lavoratore lavora senza retribuzione viene addebitato allo Stato, ma il denaro non arriva mai nelle tasche del lavoratore. Invece, finisce nelle tasche dei funzionari responsabili delle assunzioni. I lavoratori sono pienamente consapevoli di questa pratica, ma data la mancanza di impiego, si trovano soggetti alla servilità, permettendo al potere locale di mantenere questo furto costante dei loro salari.

Inoltre, i lavoratori riferiscono che i pagamenti sono costantemente ritardati. In risposta, alcuni funzionari comunali hanno creato un’attività per sfruttare i dipendenti con salari in ritardo: la “compra del salario”. I lavoratori, non avendo la possibilità di risparmiare—dato che guadagnano meno di quanto serve per sopravvivere giorno per giorno—sono costretti a “vendere il loro salario” a questi funzionari. I “compratori di salari” danno al lavoratore l’80% o il 90% del salario arretrato come una sorta di prestito. Poi, poiché sono funzionari comunali, utilizzano procedure burocratiche per riscuotere successivamente il 100% del salario direttamente. I lavoratori riferiscono che sono gli stessi funzionari comunali—i “compratori di salari”—a causare deliberatamente il ritardo dei loro pagamenti. Un affare molto redditizio per loro.

Nel Caribe colombiano, il clientelismo e la politica di patronato sono praticamente l’unico modo per ottenere un lavoro. I noti “clan tradizionali” selezionano quasi tutte le posizioni nelle istituzioni governative. Coloro che sopportano il carico maggiore ottengono i lavori peggiori e meno pagati: guardie di sicurezza, segretarie e addetti alle pulizie nelle istituzioni statali che—data la mancanza di industria—sono l’unica fonte di impiego formale. Come dicono le masse: per ottenere uno di questi lavori, bisogna avere un buon politico.

Mariátegui richiama l’attenzione sul gamonalismo, una caratteristica distintiva del semi-feudalesimo. Indubbiamente, questo tratto è profondamente radicato nell’immaginario collettivo nella figura di un proprietario arrogante la cui parola è legge—molto nello stile di Álvaro Uribe.

Proprio la questione del gamonalismo è la questione del potere latifondista feudale. La classe terriera, protetta dalla grande borghesia e dall’imperialismo, utilizza tutti i meccanismi esistenti per imporre la propria legge. La legge borghese difende la proprietà privata. La classe terriera può sequestrare la terra dei contadini usando le proprie milizie paramilitari ed emergere impunita, nonostante violi la proprietà altrui. In altri casi, può appropriarsi della terra tramite atti falsificati, attraverso un intero sistema notarile che facilita le transazioni fraudolente, tramite un intero sistema legale che, in cambio di favori economici e politici, pur conoscendo “l’illegalità” delle azioni, li favorisce legislativamente e attraverso le forze statali repressive che proteggono i loro interessi.

L’autorità del gamonal si pone al di sopra di qualsiasi “costituzione politica” piena di parole dolci—un tentativo grossolano di ingannare le classi popolari. Il lavoro non retribuito, di cui abbiamo visto diversi esempi, non è scritto in alcuna legge, eppure rimane una pratica sistematica sia nelle campagne che nelle città del nostro paese. Il potere gamonal ha stabilito questa legge. Esiste un apparente ordine “naturale” delle cose, leggi non scritte che gravano pesantemente sui contadini e sui poveri della nazione. Questo “ordine naturale” è precisamente la legge gamonal, l’autorità gamonal, che detta come funzionano le cose secondo i propri interessi.

Ci sono luoghi nel nostro paese dove, fino a pochi anni fa—meno di un decennio—il proprietario reclamava ancora il jus primae noctis (la pratica feudale per cui il signore aveva diritto a giacere con qualsiasi donna sposata dei suoi servi). In altre regioni, gli amministratori terrieri detengono il potere di aggredire fisicamente i contadini in pieno giorno, sotto lo sguardo complice della polizia.

Ricordiamo un episodio particolarmente ripugnante che rivela come si materializza questo potere gamonal: il caso di Osmario Simancas. Come riportato da Noticias UNO nel 2017:
«Tutto iniziò il 26 novembre quando Rosa Cecilia Beltrán ricevette una dolorosa notizia sul figlio (…) vennero a dirmi che era stato ferito gravemente. Osmario era conosciuto in zona come un giovane onesto con grandi aspirazioni di diventare pugile. Quel pomeriggio, il giovane decise di andare con un amico (…) un altro ragazzo di 14 anni a giocare nelle proprietà rurali (…) arrivarono alla proprietà rurale Campo Alegre 2. Poi comparve un uomo a cavallo, dicendo che erano quelli che stavano rubando lì. Il mio amico gli disse di rispettarci, che non eravamo così. Così dissi andiamo, e ce ne andammo, e l’uomo a cavallo iniziò a chiamare altri. Osmario raccontò che in quel momento fuggirono perché credevano che li avrebbero uccisi, dicendo che ciascuno prese percorsi diversi nella fuga. Il suo amico riuscì a scappare. Io continuai a correre, e improvvisamente l’uomo era proprio davanti a me—brandì il machete, e quando schivai con il braccio, mi tagliò il braccio sinistro proprio in quel momento. Il giovane disse che durante l’attacco gli tagliarono anche l’altra mano. Poi il proprietario della proprietà chiamò la polizia per portarlo via (…) nonostante le ferite, era sempre cosciente e per questo riuscì a identificare gli aggressori. Uno di loro era Edurdo Nuñez, conosciuto come amministratore della proprietà rurale. La polizia si schierò con i proprietari senza chiedere nulla a Osmario, anche se era già mutilato.»

Questa tenuta, situata nel Caribe, ad Arjona, Bolívar, era una proprietà in processo di confisca, appartenente all’alias “La Gata”. Ancora oggi, in questa parte del paese, i contadini denunciano che il “Clan La Gata” continua a controllare proprietà che, sulla carta, sono già nelle mani della SAE (Sociedad de Activos Especiales). Nonostante il crimine sia stato denunciato, gli aggressori rimasero liberi nonostante le prove chiare della loro colpevolezza. Osmario fu caricato sul retro di una pattuglia della polizia e portato in città, sanguinante e mutilato.

La terra è concentrata nelle mani di pochi; i contadini non hanno terra, né il capitale per affittarla. Non c’è industria per impiegare la loro manodopera. Sulla base di queste condizioni—soprattutto la concentrazione della terra—emergono relazioni di servitù e gamonalismo come espressioni del semi-feudalesimo: lavorare gratuitamente per mesi nella speranza di ottenere un impiego stabile dove non esiste; provare gratitudine verso il proprietario che ruba il loro lavoro; affitto di terre sotto la costante minaccia di cambiare le condizioni prima del raccolto; impossibilità di piantare perché non si ha denaro per pagare l’affitto. Questa è la sottomissione in cui il potere gamonal mantiene i contadini, controllando la terra e costringendoli alla servilità verso chiunque possa offrire loro “condizioni favorevoli” in un contesto di mancanza di terra, lavoro e povertà. Questo panorama mostra che le relazioni semi-feudali persistono in Colombia, e che è possibile eliminarle solo abolendo il latifondo.

[1] “Zocolar” è un termine regionale che indica il disboscamento per la prima volta di un terreno non coltivato e irregolare. Nella traduzione si utilizza “pulire” per chiarezza, pur mantenendo il significato originale.

[2] Uno strumento giuridicamente ambiguo che spesso maschera rapporti di lavoro precari, permettendo allo Stato di eludere le responsabilità del datore di lavoro e perpetuando l’instabilità per i lavoratori.

NUEVA DEMOCRACIA

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