LE ELEZIONI DELLA LOMBARDIA E DEL LAZIO: I PERICOLI INSITI NEL PRECIPITARE DELLA CRISI EGEMONICO-ISTITUZIONALE

Lombardia e Lazio sono le due regioni principali del paese, Milano è la Capitale economica dell’Italia e come tale si contrappone da sempre al Centro-Sud, Roma è la Capitale politica che da sempre rappresenta la coesistenza e la convergenza tra il capitale finanziario, nazionale ed estero, e le rendite mafiose vecchie e nuove.   

I risultati delle elezioni regionali della Lombardia e del Lazio confermano la tendenza di fondo ad un astensionismo sempre più diffuso ormai largamente maggioritario nell’intero paese. In Lombardia non si è presentato al voto  il 58,3% degli elettori, nel Lazio il 62,8%.    

Per quanto riguarda la distribuzione dei voti tra i principali partiti di potere: in Lombardia FdI prende 725.500 voti (25,2%), il PD 628.774 (21,8%), la Lega 476.175 (16.50%), FI 208.420 (7,2%), M5S 113.229 (3,9%), Unione Popolare 39.913 (1,39%); nel Lazio FdI prende 519.633 voti (33,6%), il PD 313.023 (20,5%), M5S 132.041 (8,5%), la Lega 131.631 (8.50%), FI 130.638 (8,4%), Unione Popolare 10.289 (0,67%), PCI 10.212 (0,66%).   

Le destre fasciste e fascio-populiste prevalgono nettamente nonostante il dato relativo alla perdita di voti registrata da tutti i partiti di potere.  Il PD si dimostra sempre meno in grado di garantire una qualche eventuale forma di opposizione sul piano istituzionale e di candidarsi anche solo per un’alternativa di governo. D’altronde il PD è stato uno dei principali artefici della situazione attuale e  di fatto non rappresenta, in confronto al governo Meloni, che un altro partito profondamente antioperaio, antipopolare, guerrafondaio e semi-fascista.   

La crisi egemonica relativa al distacco tra i principali partiti di potere e le larghe masse della popolazione italiana si accentua ulteriormente e tende a trasformarsi in crisi istituzionale. Non è infatti pensabile che un sistema parlamentare multipartitico che vuole presentarsi, all’interno del paese e sul piano internazionale, come espressione legittima della volontà popolare possa continuare ad operare senza il consenso della popolazione.   

Nel nostro paese l’aumento dei prezzi in atto intacca i già bassi salari, peggiora la situazione dei piccoli risparmiatori e delle micro-aziende, comprime ulteriormente le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, incide pesantemente sul livello del reddito medio delle regioni del Meridione e delle Isole.  L’assenza di effettivi diritti sindacali, monopolizzati dai sindacati confederali, non consente attualmente lo sviluppo di un movimento di lotta per l’omogeneizzazione delle condizioni di lavoro e per rilevanti aumenti salariali. Quest’assenza si accompagna a livelli crescenti di repressione e fascistizzazione dello Stato. Mentre in Francia centinaia di miglia di persone scendono liberamente in piazza per protestare per le controriforme pensionistiche, mentre in Spagna un milione di persone manifesta per richiedere una sanità pubblica migliore (va detto che in Spagna la sanità è già incomparabilmente migliore di quella italiana), in Italia la corporativizzazione dello Stato e della società, l’assenza di effettive libertà sindacali e politiche, con l’onnipresente repressione, sta bloccando la normale dialettica democratica e sociale.    

Si tratta dunque di una situazione di crisi economica ed egemonico-istituzionale, di guerra, di fascistizzazione e di compressione delle libertà,  che lascia presupporre che le componenti giovanili, proletarie e popolari più democratiche e progressiste che, pur minoritarie nel complesso dell’astensionismo, hanno disertato per l’ennesima volta le elezioni, cercheranno di far sentire la propria voce sul terreno diretto del conflitto politico e sociale.    

In un contesto di questo tipo la grande borghesia del nostro paese, strettamente legata al capitale internazionale, che mira a partecipare a “pieno titolo” alla guerra in Ucraina ed a spadroneggiare (negli spazi ristretti che le principali potenze imperialiste gli assicurano) nei Balcani, nei paesi dell’Europa Orientale e del Medio Oriente, non può certo tollerare che la crisi egemonico-istituzionale continui a svilupparsi. Questo con conseguente delegittimazione dell’operato di qualsiasi nuovo governo in carica e ridicolizzando, agli occhi del mondo, le megalomani pretese dell’imperialismo straccione italiano.    

La grande borghesia del Nord e del Centro Nord, semi-dipendente dal capitale estero, che ha consegnato da tempo la politica estera del paese agli USA ed alla Nato deve dimostrare non solo a se stessa, ma anche ai propri padroni, che gli sono indispensabili per la salvaguardia dei suoi stessi specifici interessi, di essere in grado di governare con efficienza e fermezza, ma anche con tutto il consenso necessario.   

La grande borghesia del Nord e del Centro Nord, gli USA e le principali potenze europee, Germania in testa, pretenderanno dunque dal governo fascista in carica e dai partiti di potere, oltre che, allo stato attuale, dai sindacati confederali, una soluzione a breve termine della crisi egemonico-istituzionale.   

La Meloni ha dichiarato al quotidiano “Sole 24 Ore” che il proprio governo si differenzia da quelli precedenti perché è un “governo politico”. In altri termini ha preannunciato che il governo scenderà in campo per cambiare la forma dello Stato. Il governo Meloni ha tutte le intenzioni quindi di assumere lo stesso terreno della crisi egemonico-istituzionale come volano per assicurarsi consensi e legittimazioni intorno al progetto della trasformazione autoritaria della forma dello Stato.    

La grande borghesia d’altronde pretende proprio questo. Si tratta di un progetto che allo stato attuale sta iniziando a marciare. Di fatto l’instaurazione del governo fascista Meloni rappresenta un primo rilevante passo in avanti in questa direzione.    

La questione di fondo è che una crisi economica e politico-egemonica come quella italiana che richiede una soluzione radicale ed il più possibile a breve termine, può venire risolta solo dalla grande borghesia o dal proletariato. Nel primo caso la soluzione può essere solo per una certa fase, nel secondo caso non può che trattarsi di una soluzione in un certo senso definitiva.   

Se questa è la situazione allora si tratta di una situazione estremamente pericolosa. Il proletariato oggi, come classe in grado di operare in modo coordinato ed organizzato, sul terreno politico ed economico, è ovviamente inesistente. Men che meno dunque può proporsi come rappresentante d’avanguardia della lotta per la democrazia nel nostro paese o come classe dirigente di un blocco popolare (comprensivo  delle larghe masse del popolo del Meridione e delle Isole) capace di aprire la strada ad una nuova rivoluzione democratico popolare sulla via del socialismo.   

Non solo il proletariato oggi è disgregato dal centro-sinistra e dai sindacati confederali, ma anche dai vari sindacati di base e dai vari gruppi politici della sinistra radicale e dell’estrema sinistra che anche a causa della  completa sottovalutazione del problema del fascismo e della guerra imperialista  si guardano bene dal porre al centro la formazione di un vasto fronte popolare democratico, antifascista e comunista per l’organizzazione di una nuova resistenza.   

La situazione è pericolosa anche perché il grosso dell’astensionismo non è né democratico, né progressista. In effetti è espressione non di un elevato livello di coscienza delle masse (che non si forma mai sul terreno individuale, ma sempre intorno ad organizzazioni e movimenti collettivi) ma viceversa di un’ideologia qualunquista, una sorta di sedimentazione ultrareazionaria di tutto quello che in tutti questi decenni è stato prodotto dalla grande borghesia e dal suo Stato marcio e corrotto, dalla sua cultura del tipo Grande Fratello o odierna Sanremo. Questa componente maggioritaria dell’astensionismo, involuta, disgregata ed individualista, sarebbe oggi più che favorevole a soluzioni apertamente autoritarie come quelle di un “governo degli esperti” o di una  “dittatura  presidenziale-militare”, o comunque le accetterebbe senza opporsi, legittimandole di fatto.   

La situazione va però considerata anche dal lato delle dinamiche che può determinare rispetto alla formazione di una nuova soggettività organizzata, comunista e rivoluzionaria, capace in prospettiva di saldarsi ai settori avanzati della classe operaia, degli studenti e dei movimenti di opposizione. Non si tratta certo di  enfatizzare una presunta portata rivoluzionaria dell’astensionismo come da anni propongono gruppi come il PMLI, ma di comprendere come l’attuale situazione che vede il progredire della crisi dei vecchi partiti e gruppi della “sinistra” radicale revisionista e populista, come ben evidenziato dagli stessi esiti delle elezioni nella Lombardia e nel Lazio, apre anche la strada a chi si presenterà in grado di proporre nuove soluzioni all’altezza della problemi. 

Da questo punto di vista la situazione non è senza via d’uscita, ma è necessario comprendere sin da subito la gravità della  crisi in atto ed operare di conseguenza, liberandosi di tutte quelle teorie che, negando la crisi generale terminale in cui verte il sistema imperialista, negano anche sia  la tendenza alla rivoluzione mondiale che progredisce in particolare nei paesi oppressi dall’imperialismo, sia l’evidenza di una guerra interimperialista che si approfondisce giorno per giorno alimentando il fascismo su scala planetaria. 

Pensare di poter far fronte alla situazione cercando di rivitalizzare un sistema politico decrepito ripercorrendo delle illusorie vie elettoraliste, riformiste e populiste, come pretendono Unione Popolare e PCI (Mauro Alboresi), o riproponendo le logiche bordighiste, trotskijste e sindacaliste-consigliariste che già un secolo fa avevano contribuito a  spianare la strada al fascismo, come in forme diverse sta avvenendo nel caso del FC, del FGC, del SI Cobas, dei Carc e di Proletari Comunisti-PCm (con la loro confusa teoria del fascismo moderno), determinerà il fatto che risalire la china sarà ancora più arduo e difficile di quanto non sia adesso in una situazione in cui le forze di estrema destra non sono ancora riuscite a cristallizzarsi in regime.   

È dunque necessario lavorare nel modo più celere ed efficace possibile affinché  i comunisti si uniscano sulla base del marxismo-leninismo-maoismo, dell’ideologia rivoluzionaria del proletariato e costruiscano il partito della rivoluzione socialista. E’ inoltre assolutamente necessario che i democratici, gli antifascisti ed i comunisti che non fanno riferimento al marxismo-leninismo-maoismo si uniscano in un fronte popolare contro il governo Meloni ed il fascismo, contro la guerra inter-imperialista e l’imperialismo straccione italiano, contro il carovita e l’attacco alle condizioni di vita e di lavoro del proletariato e delle masse popolari del  Nord, del Meridione e delle Isole. Un fronte popolare  che deve fondarsi, sotto l’egemonia del proletariato,  sull’alleanza tra classe operaia e strati bassi ed intermedi della piccola borghesia oppressa e sfruttata dal grande capitale finanziario e che deve muoversi sulla base del programma e della prospettiva della lotta per un nuovo stato di democrazia popolare  e per l’indipendenza nazionale.   

NUOVA EGEMONIA

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